7 gennaio 2020

Sophie Scholl, Salvo D'Acquisto e la giustizia Nazista... terza parte la giustizia nazista

Mi rendo perfettamente conto che può far inorridire giustificare, quando non difendere apertamente, i brutali eccidi compiuti dall'alleato germanico nei confronti della nostra popolazione "civile" durante la seconda guerra mondiale (non che durante la prima ci fossero andati più leggeri, ma almeno erano nemici) sia quanto meno deprecabile. Eppure è un atto doveroso che va compiuto non solo per riabilitare il nome di un popolo che, più di tutti, sta pagando sotto i martellanti colpi dei sensi di colpa imposto dalla canaglia giudaica, ma soprattutto a difesa di un ideologia che, prima dell'odio verso gli altri popoli, pone al centro l'amore per la propria razza a cui, vogliano o meno le canee rosse, tutti appartengono. Le razze umane esistono e a prescindere dalla filosofia spicciola del "volemose bene" sono diverse tra loro biologicamente compatibili (dicono) come lo sono per le altre razze del mondo animale. Tanto si amano e ammirano le purezze e gli "imbastardimenti" delle razze animali quanto si denigrano le purezze di quelle umane... anzi di quella bianco-caucasica... tanto si esaltano l'imbastardimento della razza "Ariana" con le più spregevoli razze inferiori.
Chiaramente questo non è un trattato sulle razze e nemmeno il "Mein Kampf - 70 anni dopo", ma è solo l'esordio di un articolo che vuole portare alla luce fatti poco noti, dimenticati o sconosciuti.
Abbiamo visto nello scorso articolo di come il sacrificio del carabiniere Salvo D'Acquisto abbia salvato la vita di 22 persone rastrellate tra la popolazione civile in seguito al, chiamiamolo, incidente della caserma abbandonata della guardia di finanza di Torre Perla di Palidoro. Certo potrebbe sembrare esagerato reagire in modo così violento a quello che è stato venduto come incidente, ma considerando quanto affermato nell'articolo in questione, bisognerebbe valutare se fu davvero un incidente piuttosto che un attentato in piena regola.
Di rastrellamenti e fucilazioni da parte nazista sono costellate intere pagine di libri di "storia" e della resistenza partigiana, quello che viene omesso sono quasi sempre le cause. Come ad esempio tutto il piagnisteo che viene fatto attorno all'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma non si considera mai che i partigiani, in quell'occasione, rubarono il carretto di un netturbino, vi nascosero una bomba e, al momento della detonazione, uccisero 33 soldati ed un civile il dodicenne Piero Zuccheretti ed oltre 50 feriti, la reazione tedesca fu immediata, rastrellarono nemici politici, criminali e giudei nelle carceri romane il totale dei fucilati fu di 335 prigionieri (Hitler chiese in prima istanza la fucilazione e la distruzione dell'intero quartiere che ospitava Via Rasella, ordine ignorato attribuendolo ad eccesso di rabbia per l'accaduto), i 5 in più rispetto al rapporto di 10 a 1 (10 italiani per ogni tedesco ucciso) fu un banale errore di conteggio dei prigionieri.
Tranne il caso dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema (a cui ad oggi non riesco a trovare una causa scatenante se non la frustrazione di un esercito che è stato tradito dal nostro paese, che si è trovato prima ad essere nemico nel '15-'18, poi alleato, poi di nuovo nemico ed infine di nuovo alleato del nostro esercito) tutte le altre stragi hanno una causa e questa causa è sempre un attacco partigiano che, se visto in ottica di liberazione della Nazione occupata, non sarebbe di per sé un male se non fosse che i "nostri" partigiani avevano allora e hanno tuttora (come ampiamente dimostrato) l'intento di sostituire la dittatura nazifascista con quella, meno amorevole, di tipo stalinista. Chiaramente alle rappresaglie è preceduto sempre l'affissione di un proclama in cui si chiedeva ai responsabili dell'attentato di farsi avanti ben specificando che in mancanza di colpevoli si sarebbe proceduto alla fucilazione della popolazione civile nella misura di 10 a 1 appunto. Per quanto facilmente dimostrabile la sua estraneità ai fatti dell'attentato a Torre Perla, l'eroe D'Acquisto ha dimostrato che, attribuendosi la colpa, i tedeschi non hanno svolto ulteriori indagini né azioni repressive. Ma mentre il carabiniere si sacrificava per salvare 22 innocenti, Rosario Bentivegna (il vile attentatore di via Rasella) andava a reclamare una medaglia d'oro con la "bellezza" di 369 morti sulla coscienza di cui, sino al giorno della sua morte, mai si pentì "La bomba che condusse alla rappresaglia delle Fosse Ardeatine nel 1944 è una ferita aperta nella memoria storica della nazione e nella sua (cattiva) coscienza. Così tanto che fino agli ultimi giorni di vita Bentivegna ha rifiutato di riconoscere che il suo gesto ha avuto un pesante rovescio della medaglia. Un rifiuto portato avanti soprattutto attaccando ostinatamente una foto che ritrae i resti di una delle vittime della sua bomba: il dodicenne Pietro Zuccheretti.", ma quel vile di Mentana chiese a Pripke di pentirsi e chiedere scusa per aver eseguito un ordine ricevuto in tempo di guerra.
Questi sono solo due esempi che mostrano da un lato la fredda determinazione con cui i tedeschi eseguivano un ordine fosse esso di fucilazione di un colpevole senza colpa, ma che portava a risparmiare la vita a innocenti, o di una moltitudine come rappresaglia di un attacco ricevuto da parte di truppe irregolari. Infatti non è che i tedeschi fucilarono la popolazione civile per i caduti ad Anzio o Monte Cassino*.
Un altro esempio di quanto fossero leali gli alleati (in particolare gli americani, ma non solo) arriva dalle memorie dell'ammiraglio Dönitz, di cui ho accennato in scritti precedenti, nello specifico mi viene in mente il caso del piroscafo Laconia.
Il caso "Laconia", il 12 settembre del '42 l'U-156 affondò suddetta nave passeggeri impiegata, dall'ammiragliato inglese, come nave da trasporto truppe (sempre per il concetto, espresso in in scritti precedenti per cui gli inglesi non si facevano molti scrupoli ad usare navi civili per impieghi militari, salvo poi cambiare le carte in tavola quando le loro azioni gli si ritorcevano contro). Dopo l'avvenuto affondamento il comandante del U-156 (tenente di vascello Hartenstein) udì delle grida di aiuto, in italiano, provenire dai naufraghi. Procedendo al salvataggio, e da successive dichiarazioni dei comandi britannici, si apprese che a bordo del piroscafo si trovavano: "436 uomini dell'equipaggio britannico, 268 militari inglesi in licenza con 80 donne e bambini, 1800 prigionieri di guerra italiani e 160 prigionieri di guerra polacchi provenienti dalla Russia".
Il comandante del sommergibile comunicò la situazione al comando dei sottomarini (di fatto all'ammiraglio Dönitz) il quale ordinò di procedere al salvataggio dei naufraghi, nonostante tale azione fosse contrario ai principi della guerra navale sin lì combattuta a cui gli alleati si attennero sin dall'inizio della guerra non impegnando mai le proprie navi in azioni di salvataggio dei naufraghi nemici.
Dönitz ottenne autorizzazione dai suoi superiori, e persino dall'ufficio di Hitler, di procedere al salvataggio (Hitler si raccomandò solo che la missione degli altri sommergibili diretti a Città del Capo non venisse compromessa). All'azione dell'equipaggio di Hartenstein si unirono gli U-boot U-506 e U-507 oltre al sommergibile italiano "Cappellini" richiesto espressamente da Dönitz. Il comandante del sottomarino trasmise un radio-messaggio in chiaro ed in lingua inglese offrendo una tregua alle navi che avessero voluto soccorrere i naufraghi: "Se qualche nave vuole aiutare a raccogliere i naufraghi dell'equipaggio del 'Laconia', non la attaccherò, a condizione che io stesso non sia attaccato da navi o aeroplani. Ho salvato 193 uomini, 4°52' sud, 11°26' ovest, sommergibile tedesco". Ripetuto più volte anche sulle frequenze internazionali... insomma non c'era possibilità che gli inglesi non ne fossero al corrente, infatti la risposta alleata non si fece attendere  e alle ore 11.25 del giorno 16 settembre un quadrimotore americano compare all'orizzonte l'equipaggio stende sul ponte una bandiera della croce rossa di 4 metri quadrati, mentre il comandante invia un messaggio morse in direzione del velivolo senza ottenere risposta o meglio la ottiene un'ora più tardi quando il quadrimotore prima tenta di bombardare il sottomarino e poi getta una bomba in mezzo alle imbarcazioni, scialuppe di salvataggio e zattere con a bordo i naufraghi, che il sottomarino aveva a traino, rovesciandone una. Con la quarta bomba danneggia lo scavo del sommergibile che è costretto a sbarcare i naufraghi (inglesi e italiani) per cui non ci sono più scialuppe. Una sorte simile toccò all'U-506 bombardato da un idrovolante. Dopo l'operazione di salvataggio per i naufraghi del "Laconia" l'ammiraglio diede ordine perentorio di attenersi alle regole di guerra che vedremo a breve. Per quest'ordine fu accusato, sostenuta tuttora da parte dell'opinione pubblica, di aver emanato un ordine di assassinio, nonostante il tribunale di Norimberga lo assolse da tutti i capi di imputazione.

Un esempio delle regole di guerra si può evincere dalle affermazione dell'ammiraglio di flotta Nimitz, marina degli Stati Unuti, che al processo di Norimberga dichiarò "In linea di principio, i sommergibili degli Stati Uniti non salvavano naufraghi nemici se ne fosse risultato un pericolo non necessario e supplementare per il sommergibile, oppure se ciò avesse impedito a quest'ultimo di eseguire un ulteriore missione." ebbene l'U-156 quando si fermò a soccorrere i naufraghi del Laconia era impegnato, insieme ad altri 3 sommergibili, in una missione che li avrebbe portati a colpire il traffico mercantile britannico al largo di Città del Capo. Come detto la propaganda inglese (e non) diffuse a gran voce l'accusa nei confronti di Dönitz, accuse che non vennero appoggiate né imputate a lui, al comando dei sottomarini o alla guerra subacquea stessa condotta dalle navi tedesche, ma di questo non si fa menzione.


*Se le opere d'arte di Monte Casino furono salvate al feroce bombardamento alleato non lo si deve certo al gruppo di "curatori d'arte" alleato che si premurò di andare di città in città a salvare quadri e statue, ma lo si deve piuttosto agli ordini del generale Albert Kesserling che, a costo di appiedare i propri soldati, costringendoli ad una stregua resistenza anziché ad una agevole ritirata, li privò di camion per trasferire le opere d'arte dal monastero alla città del Vaticano.

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