12 settembre 2018

Le rivoluzioni non si fanno dopo pranzo.

Le rivoluzioni, buona gente, non si fanno dopo pranzo. Così conclude l'articolo su Il Primato Nazionale di Marta Galimberti dal titolo "L’ebbrezza della libertà e dell’eroismo: l’impresa di Fiume ci parla ancora".
Così ho pensato di iniziare il mio di oggi.
Tornando indietro con la memoria, mi torna alla mente che, spesso, invece di parlare di (chiedo perdono alle eventuali lettrici) "Calcio e Figa", si discuteva di Politica storica e di quella rivoluzionaria, capitava di domandarsi se le nostre generazioni, nipoti di quelle del '14-'18 ('15-'18 se visto solo dal punto di vista Italiano) e figlie della generazione di quegli slanci ideologici che ancora esistevano e che si prodigavano a cambiare il mondo diretto inesorabilmente verso "l'imborghesimento" di tutte le classi sociali.
A volte è capitato di sentire commenti (inopportuni) che sostenevano, ad esempio, la tesi che per una rivoluzione ci vogliono dei Capi forti e carismatici ed ogni volta toccava a me l'ingrato compito di far presente che i "Capi forti e carismatici senza il popolo sono solo persone che amano il suono della propria voce. Diventando infine una sorta di piramide rovesciata in cui tutti comandano e nessuno esegue gli ordini.
A una simile affermazione può essere obbiettato che a nessuno piace prendere ordini... vero!!! ...in parte!
E' vero nella misura in cui siamo stati abituati ad avere dei "capi" siano essi professori o presidi, capi reparto o capi ufficio che hanno scalato le gerarchie per l'anzianità e non per merito, sì questo può essere vero, cioè non piace prendere ordini da persone che non sanno di cosa stanno parlando, ma ci sono, piaccia o no, superiori di grado. Probabilmente taluni, convinti che nel comunismo marxista (ovvero quello mai esistito se non in uno scritto abbandonato in una soffitta ideologica ed applicato prendendo ciò che faceva comodo o ciò che era applicabile e interpretando il resto come "fumoso vangelo") non esistono gerarchie e che ogni uomo è il "capo" di sé stesso, nella pratica poi chissà perché c'è sempre stato un capo, un comandante, un "Lider Maximo", un presidente, ecc. in barba alle gerarchie inesistenti.
Ma per taluni non avere il "peso" di dover prendere delle decisioni, di non dover convivere con le responsabilità da esse derivate non è poi così disdicevole, soprattutto quando il superiore da cui si riceve l'ordine da prova di essere capace in ciò che fa ed in ciò che "ordina".
Dal momento che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, nel sostenere la sua tesi arriva ad affermare che il popolo non fa la rivoluzione, perché quando sta "bene", non ha interesse a cambiare lo stato delle cose, mentre quando non sta "bene" ed ha fame pensa a riempirsi la pancia e non a fare la guerra.
La parte sul benessere del popolo è vera, nel senso che quando sta bene non ha interesse a cambiare in quanto, seppur lamentoso cronico, teme il cambiamento; è quando raggiunge il fondo, quando la corda si spezza, quando non sta bene che le cose si complicano... o almeno così dovrebbe essere.
Qui subentra il colpo di genio della borghesia, degli arricchiti che prima hanno usato il popolo per rovesciare l'aristocrazia e poi, per tenerli buoni, gli hanno messi di fronte alla loro coscienza mostrandogli (sempre) qualcuno che sta peggio.
Arriverà forse il giorno in cui qualcuno avrà l'illuminata "arroganza" di rispondere a quanti intimano di pensare a chi sta peggio: "Perché devo continuare a livellarmi con il basso? Nel momento in cui non ho un lavoro, non ho una famiglia, non ho uno straccio di amico... devo rallegrarmi del fatto che sono ancora vivo?!? Non posso iniziare a pensare a chi sta meglio di me e si lamenta ancora?".
Le rivoluzioni, buona gente, non si fanno dopo pranzo. Fa chiaramente riferimento al fatto che non bisogna adagiarsi sugli allori quando le cose vanno di merda, ma potrebbero andare peggio... perché quando vanno di merda l'intervento è urgente, ma rischia di essere tardivo; mentre quando vanno peggio non si può solo sperare che il trapasso non sia troppo doloroso.
Adagiarsi nell'agio borghese (che poi borghese non è perché di fatto per star bene bisogna essere ai livelli di ricchezza della defunta aristocrazia), significa semplicemente farsi trattare come pecore da una classe incapace che a sua volta prende ordini da qualcuno privo di scrupoli che, alla prima occasione, abbandonerà lo strumento che gli ha permesso di raggiungere il proprio scopo e, se necessario, agevolerà un nuovo strumento per raggiungere lo scopo successivo.
Sono senza peccato? Per questo scaglio la prima pietra? Ovviamente no! Non sono senza peccato e non scaglio la prima pietra, probabilmente non sono nemmeno la pietra scagliata da chi è senza peccato, forse sono io il peccato o, più probabilmente sono solo una goccia d'acqua nella vastità dell'oceano che non percepisce nessuna distinzione tra il normale moto ondoso del mare ed i cerchi d'acqua creati da un sasso lanciatovi dentro.
Il problema è... chi sono io per fare la morale? O se c'è ancora una morale che vale la pena salvare? Quando si discuteva di rivoluzione (attorno al tavolo di una pizzeria) l'argomento era sempre lo stesso e scaturiva da una domanda... queste generazioni, successive al '68 ('69 in Italia perché noi arriviamo sempre dopo aver preso il caffè e magari fatta una mezz'oretta per digerire... tanto per togliervi ogni dubbio la seconda guerra mondiale è iniziata l'1 settembre 1939 con la raccolta da parte dei tedeschi di un invito polacco che dissero "se la Germania rivuole Danzica se la deve venire a prendere... noi saremo pronti"... come hanno dimostrato i fatti. Il 2 Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania... gli rodeva non essere stati invitati al party polacco, ma non era colpa dei tedeschi se i polacchi non hanno mandato gli inviti. Il 10 giugno l'Italia "se desta"... ma siamo già nel '40), sono ancora in grado di ribellarsi? Da qui una sequela di discussioni inutili in cui finti rivoluzionari (figli di borghesi e quindi tecnicamente infiltrati) che proponevano di stringere alleanze con la borghesia che costituisce, ormai, la maggioranza del popolo... certo vedendo lo stato attuale delle cose nutro meno perplessità nel ipotizzare una classe sociale che disintegra sé stessa, ma di solito sono quelle manipolate, non quelle manipolatrici (o sedicenti tali).
In definitiva, quella che poteva sembrare una frase fatta, è divenuta una triste realtà, le cui colpe però vanno ricercate non nella generazione dei sessantottini, ma proprio in quella generazione che abbindolata dalla mera illusione della crescita economica illimitata farcita con il fiele del "grande sogno americano" per cui chiunque può fare qualunque cosa... infatti in America sono tutti pop star di successo famosi in tutti il mondo e lo strato produttivo è demandato a paesi terzi (in parte vero, ma non del tutto).
Così mentre tutti aspirano a fare Rap e "scopare" come licantropi qualunque cosa respiri... lo Stato Sociale viene disintegrato difeso soltanto da 4 nostalgici troppo stanchi, dopo anni in barricata, per alzare il manganello o per sporgere un bicchiere di "olio di ricino" da una parte o dall'altra ebbri di una "vittoria" ormai sepolta sotto la spessa coltre della polvere del tempo, ed il pugno che un tempo stringeva dei saldi ideali (per quanto errati) ora non avvolge nemmeno più l'aria smossa dal passaggio delle mosche.

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