Apparentemente, con l'emergenza virale, l'esercito di finti "fatalisti" si è estinto o è troppo impegnato a tentare di respirare per pigiare i tasti. Quello stuolo di persone alla "vivi come fosse l'ultimo giorno", o "vai, come se non ci fosse un domani" all'alba di una possibile assenza di domani si sono tutti riconvertiti al "ce la possiamo fare!" o al "noi restiamo a casa!".
Gli stessi di abbraccia un cinese hanno, probabilmente, lanciato l'iniziativa disegna un arcobaleno (guarda caso) su un cartone o un lenzuolo con la scritta "tutto andrà bene" da appendere poi alla finestra, al balcone o in terrazza. Sorvoliamo sul fatto che perché mai proprio un arcobaleno, che sia davvero solo il simbolo del sereno che torna dopo la tempesta? Non credo, non di questi tempi. Vogliamo lanciare un segnale positivo, ma come ho detto tutto non andrà bene se non sto cazzo di virus non ci insegna la lezione che le frontiere esistono e devono continuare ad esistere perché servono quando si possono chiudere in situazioni di emergenza. Allora sì che questo virus sarà servito a qualcosa e tutto sarà andato bene... diversamente se non cambierà nulla questo virus avrà permesso solo ai potenti del mondo di arricchirsi ancora e di testare le azioni repressive necessarie per privarci della libertà senza una nostra reazione in merito.
Sicuramente la possibilità di finire in prigione per aver lasciato il proprio comune di residenza, o chi trasgredisce all'ordinanza di evitare assemblee pubbliche, o chi viola il coprifuoco... non so perché, ma queste regole mi sembra di averle già viste in precedenza... non aiuta gli "audaci" a lanciarsi, come fosse l'ultimo giorno, verso il paese vicino... all'andare, come se non ci fosse un domani, al baretto sotto casa alle 17.59 a comprare 4 Moretti da scolarsi sulla panchina del parco insieme agli amici. Che fine hanno fatto i "filosofi" del "vivi il presente perché il futuro è incerto!"?
In questi anni troppo spesso ho sentito parlare di fatalismo, quando il Fato non li toccava da vicino e più il fato era vicino più loro riscoprivano la speranza, la fede nel futuro, la voglia di vivere... come se chi crede nel destino (accettando da tempo che ad un dato minuto di una certa ora di quel preciso giorno di quel mese di quell'anno la morte lo accoglierà tra le sue braccia) abbia intenzione di morire. C'è una certa differenza, ed è giunto il momento di affrontarla, tra consapevolezza dell'esistenza della morte e desiderarla ad ogni costo. In un mondo di pavidi e codardi è comprensibile che si desideri tutto ciò che non si teme, perché è stato insegnato di fare, nel corso della vita, ogni esperienza possibile persino le più disgustose, depravate e raccapriccianti. In verità sarebbe anche stato insegnato di non avere timori, perché i timori sono frutto dell'ignoranza e la paura genera odia, questa la ragione per cui chi odia è un ignorante o, peggio, uno stupido. Eppure, se mi concedete ancora una piccola digressione, non ho bisogno di prenderlo in quel posto per sapere che è un esperienza che preferirei non fare, non ho bisogno di iniettarmi dell'eroina per sapere che non è la vita che intendo condurre, non ho bisogno di una società multietnica per scoprire le tante ragioni per cui preferisco una nazione appartenente ad un unico popolo. Allo stesso modo non ho bisogno di temere la morte per sapere che è un esperienza che preferirei evitare il più possibile, ma proprio perché non la temo non intendo vivere alla sua ombra. Vivere come se fosse l'ultimo giorno, non significa (dal mio punto di vista) dedicarsi esclusivamente a sé stessi ed al proprio edonismo più sfrenato perché ci sono troppe cose ancora bisogna provare ed il tempo potrebbe non bastare, ma semplicemente vivere ogni giorno in modo da, qualora giungesse l'ora fatale, lasciare questo mondo senza rimpianti né rimorsi. Sapendo cioè di aver fatto sempre tutto il possibile con il tempo che ci è stato concesso. Fatalismo significa accettare che le cose avvengono per una ragione ben precisa, a prescindere che noi la si comprenda o meno. A prescindere che noi si conosca o meno la trama che il fato, le Norne, le Parche, le Moire hanno ordito per noi. A questo punto va palesata una piccola incoerenza ovvero se tutto è già scritto... se io sono destinato a grandi cose, perché affannarmi tanto per realizzarle quando se è destino capiteranno? Perché combattere una battaglia, in cui magari perdo la vita, se le sorti della guerra sono segnate da tempo? Proprio perché tempo è il giudice più impietoso che possa esistere, perché dare il proprio massimo in ogni situazione non ci fa avere quei rimorsi e quei rimpianti quando le cose non vanno come ci aspettavamo. Perché lottando fino all'ultima goccia del proprio sangue, anche una sconfitta può essere meno amare, anzi persino dolce, se si ha la consapevolezza che non si poteva fare di più. Quella finale mancata perché sul punto decisivo mi ho perso la giusta concentrazione, pesa nella mia memoria più del bronzo che ho conquistato. Perché nella vittoria so di aver fatto il possibile ed il risultato ottenuto è stato quello a cui ero destinato, nella sconfitta resta il rimorso di non aver dato il massimo di aver commesso degli errori, ecc. Probabilmente il destino sarebbe stato comunque quello, ma se avessi perso dando tutto l'avrei dimenticato e archiviato come qualunque altro impegno sportivo.
Lo stesso vale per ogni ambito della vita e nella vita stessa.
Essere legati al proprio fato, quindi, non significa sedersi in poltrona e aspettare che le cose succedano perché, diversamente, non saremo adeguatamente preparati a questo tipo di situazioni per cui basta che un coglione come Conte dica chiudiamo l'Italia che la gente si attacca ai finestrini del treno pur di lasciare Milano. Gente che si accalca fuori dai supermercati perché non c'è certezza che domani si possa ancora cucinare la pasta... quando è molto probabile che se dovessero saltare infrastrutture e servizi probabilmente non ci saranno più luce e gas e per farti il tuo piatto di pasta dovrai dar fuoco ai mobili, superlaccati quindi ricoperti di vernice tossica, solo che non sarai in grado di costruirti una cucina da campo.
Cioè se ti vuoi preparare alla catastrofe compra cose che abbiano senso in una catastrofe... non vado oltre se no si rischia il fuori tema.
In conclusione il fatalismo non si applica solo alla morte altrui, ma anche e soprattutto alla propria vita, vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo se è inteso come vivi un vita adrenalinica è un'emerita stronzata, quello è solo il modo per essere certi di sprecarla. Se inteso, invece, come vivi on modo da non avere rimpianti, in modo da aver meritato (nel bene e nel male) tutto quello che ti è capitato, allora sì che è fatalismo allora si che la consapevolezza, da cui la gente cerca di fuggire con droga, alcol e adrenalina, condiziona la nostra vita e la nostra morte. Ovvero viviamo tutti i giorni, come se non ci fosse un domani, e se fosse l'ultimo non ci lasceremo alle spalle dei rimpianti.
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