21 aprile 2020

Karl Dönitz - Il comandante degli U-Boot

Eccoci arrivati, come promesso, alla fine del libro. "Il comandante degli U-BOOT" è la riedizione dell'autobiografia del Gran Ammiraglio Karl Dönitz intitolata "10 anni e 20 giorni" opera che purtroppo non mi è stata possibile reperire (se posso preferisco sempre trovare le prime edizioni se non gli originali, per la questione "meno mani che hanno creduto di poterla migliorare dopo quanto scritto dall'autore").
Il libro non costituisce un manuale tecnico, sulla navigazione a bordo dei famigerati sommergibili tedeschi, ma nemmeno un romanzo che narra le gesta di questo o quel equipaggio, bensì, piuttosto, l'esperienza di guerra del responsabile del comando navale della marina tedesca in particolare per la guerra subaquea.
Sin dalle prime pagine, seppur egli narra della sua esperienza di marinaio alla fine della Grande Guerra e prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, emerge come parte della storia che ci è stata raccontata, dai vincitori, se non del tutto mendace è quanto meno rivisitata al fine di far emergere il valore dei vincitori e non la loro incapacità nell'affrontare un nemico numericamente inferiore.
Sulla pericolosità dell'arma subacquea, non hanno potuto mentire solo perché per quasi 5 anni ha tenuto in scacco le 2 super potenze navali dell'epoca quelle anglo-americane. Questa non poteva essere nascosta, diversamente non si sarebbe spiegata la ragione di un così notevole "ritardo" nell'invasione della Normandia, e non poteva certo essere ricondotta alla sola forza di volontà (innegabile) e allo spirito guerriero che, guidato da un capo carismatico capace di eliminare totalmente le differenze di classe ed i relativi conflitti, albeggiava nuovamente nei soldati dell'esercito tedesco. Naturalmente non stiamo parlando del "fanatismo", passatemi il termine, delle SS "indottrinati" nelle scuole di partito, ma di uomini della marina e soldati dell'esercito che semplicemente facevano il loro dovere per il bene della propria Nazione.
Per acquietare immediatamente gli animi di quanti collassano al sol sentir parlare di Nazione, mi preme riportare le parole dello stesso Gran Ammiraglio "È sbagliato, e non corrisponde neppure all'interesse delle relazioni tra i Stati, voler introdurre nel concetto di «internazionale» una atteggiamento antinazionale nei riguardi del proprio paese" sicuramente si dirà che Dönitz era un nazista per cui è normale che si pronunci in tal senso. Nient'affatto era semplicemente un soldato che ha compiuto il suo dovere ogni qual volta è stato chiamato a compierlo. Nell'istruire equipaggi e comandanti dei sommergibili, prima della guerra, nel ideare strategie capaci di colmare il divario tra le forze navali di superficie tedesche rispetto a quelle britanniche, nel riconoscere di come i sottomarini non potessero essere, data la loro stessa natura, utili quando impiegati nello scontro con le flotte navali nemiche, mentre potevano risultare efficaci (sino a portare al collasso una nazione come l'Inghilterra) se impiegati nella "guerra al tonnellaggio mercantile", ovvero affondati le navi da carico dirette all'isole britanniche colme di materie prime, generi alimentari, ecc. permettendo al cuore pulsante dell'impero britannico di continuare la guerra da loro stessi voluta. Di svolgere il suo dovere quando fu chiamato a sostituire Raeder come Ufficiale di Stato Maggiore per la marina da guerra ed infine designato da Hitler, di cui conquistò le simpatie in uno dei tanti incontri dopo aver "sistemato" il borioso Göering (che era solito mettere in cattiva luce i comandanti delle altre forze armate), quale suo successore alla presidenza del Reich tedesco.
L'ammiraglio fornisce dati piuttosto precisi sull'attività degli U-Boot, non solo nell'atlantico e non solo quelli tedeschi, ci racconta infatti del comportamento tenuto dai comandanti e dagli equipaggi dei sommergibili italiani quando questi furono messi a sua disposizione dalla Regia Marina Italiana, di come essi erano assolutamente impazienti di dar prova di sé al punto da non riuscire ad applicare la tattica del "branco di lupi", ovvero seguire la preda (il convoglio nemico) sino all'arrivo di altri sottomarini, ma scagliarsi su di esso, in netta inferiorità numerica rispetto alla scorta e ai cacciatorpediniere britannico, ottenendo con il loro coraggio e la loro bravura buoni risultati con sprezzo del pericolo. 
Ci racconta di ogni scenario di guerra, dal mare del Nord a Città del Capo e dalle coste americane (non solo USA e Canada, ma anche Caraibi e Brasile) sino all'oceano indiano, dello scenario nel Mediterraneo e di come avesse previsto lo sbarco americano in Sicilia anziché in Sardegna, non c'era mare insomma che non contenesse un branco di lupi e non c'era nave, dell'impero britannico, che si potesse sentire al sicuro... costantemente in pericolo consapevoli della sicura presenza in acqua dei Lupi di Dönitz.
Come avevo scritto in un articolo precedente, ha dimostrato di come gli "alleati" non rispettassero minimamente le convenzioni di Ginevra (seppur descritto dal punto di vista della marina) e nemmeno le tregue per prestare soccorso ai marinai nemici la cui nave avevano (in un azione militare) appena affondato.
Sostanzialmente ci descrive la storia della seconda guerra mondiale affrontata dal punto di vista tedesco che, esattamente come gli indiani d'america, non erano semplicemente dei selvaggi che aggredivano le diligenze, ma anzi nonostante l'evidenza che navi americane erano state "prestate" agli inglesi (almeno 6 mesi prima dell'ingresso ufficiale degli USA nel conflitto) l'ordine di Hitler, che Dönitz fece applicare alla lettera, fu di non attaccare per nessuna ragione tali navi. 
Non è la prima volta che mi trovo ad affrontare un argomento simile, infatti anche Mussolini diede un simile ordine riguardo alle navi nemiche anche una volta entrati ufficialmente in guerra con Francia e Inghilterra... cercando, invano, di salvaguardare la vita di militari e civili che evacuavano dalle zone occupate dal Impero d'Italia.
Ad ogni modo è un libro che deve necessariamente essere letto se si vuole avere un quadro più preciso riguardo all'andamento della seconda guerra mondiale, andamento in cui non si vedono, come nei film postumi a quel periodo, eroismi da parte di manipoli eroi, bensì timore, quando non rispetto, verso un nemico capace di agire anche in inferiorità numerica e di sacrificarsi per il bene della propria Nazione e nel pieno svolgimento del proprio dovere.
Ho sottolineato alcuni passaggi che tengo a condividere, la prima riguarda il prestigio che, grazie a Hitler, la Germania aveva ottenuto all'estero, anche e soprattutto presso gli inglesi "Se i rapporti con la marina britannica e coi rappresentanti del governo di Londra, ad esempio a Città del Capo, erano stati fino ad allora bensì cortesi ma riservati, essi si modificarono dal principio del 1935.
Se un ammiraglio inglese, in presenza dei suoi ufficiali, malcontenti di misure del governo britannico mi dichiarava «We want a Hitler!» o se gli inviti inglesi si ammucchiavano sul mio tavolo, nella mia qualità di comandante dell'«Emden», ciò era conseguenza del crescente prestigio tedesco. La proclamazione della sovranità militare tedesca, il 16 marzo 1935, di cui ebbi notizia pure all'estero, contribuì ancora a questo progresso."
A proposito degli italiani e delle loro gerarchie, facendo un balzo avanti di parecchi anni "Il 13 maggio io feci visita al capo dell'alto comando delle forze armate italiane, generale Ambrosio. Il 14 maggio ottenni un'udienza dal Re d'Italia. Anche di fronte a loro la decisiva importanza del problema dei trasporti marittimi.
Tutti questi sforzi non ottennero, tuttavia, il risultato desiderato, che cioè l'alto comando della marina italiana si applicasse con tutta la sua energia e risolutezza a tali compiti difensivi.
Allorché gli alleati sbarcarono in Sicilia, il 10 luglio 1943, si ebbe da diverse parti la prova che le forze armate italiane non avevano più voglia di combattere. Ciò fece risaltare ancor più il valoroso contegno di molti giovani ufficiali della Marina da guerra italiana, che avevano già dato prova in combattimento delle loro qualità come comandanti di navi di scorta o di sommergibili." ed a proposito del governo Badoglio "Hitler non si fidava di quel nuovo governo italiano e riteneva che esso avrebbe intrapreso al più presto trattative segrete con gli alleati".
Naturalmente la guerra tedesca non fu combattuta solo via mare, anzi soprattutto via terra (infatti mi sono già procurato il libro del generale Heinz Guderian uno degli ideatori della Blitzkrieg) ma quello che preme sottolineare è che la marina tedesca si occupò dello sfollamento di militari e civili che rischiavano di finire sotto il controllo sovietico. Divenuto presidente del Reich non accettò di porre immediatamente fine al conflitto, per mezzo di una resa incondizionata, in quanto avrebbe condannato sia le armate, ma soprattutto la popolazione civile, alle barbarie bolsceviche "Le forze armate tedesche non avevano potuto assolvere al nostro confine orientale il loro naturale compito militare, di assicurare la protezione della nostra popolazione locale e del suo paese nativo. Gli abitanti di quelle regioni rifluivano, perciò, verso Occidente per mettersi in salvo dall'invasione sovietica.
Erano in preda al terrore, ben sapendo che cosa dovessero attendersi dall'esercito russo. Allorché, nell'ottobre del 1944, la cittadina di Goldap e alcuni villaggi vicini, nei pressi del confine della Prussia orientale, erano caduti nelle mani nemiche, i russi avevano massacrato la popolazione tedesca con terribile brutalità.
Anche un appello dello scrittore sovietico Ilja Ehrenburg ai soldati russi mostrava alla popolazione tedesca che cosa dovesse aspettarsi.
Quell'appello diceva: «Uccidete, uccidete! nessuno è innocente in Germania, né i vivi né i nascituri! Seguite l'ammonimento del compagno Stalin e schiacciate per sempre la belva fascista nella sua tana. Infrangete con violenza la boria razziale delle donne tedesche. Prendetele come legittime prede. Uccidete valorosi assalitori dell'esercito rosso!»
In tali condizioni , io consideravo il salvataggio della popolazione orientale tedesca come il primo compito che il soldato tedesco dovesse ancora assolvere.
Questo è significativo, io non sono mai stato dell'idea che per vincere bisogna abbassarsi ai livelli del nemico, ritenendo che c'è più onore in una sconfitta, se si è combattuto lealmente, che in una vittoria ottenuta slealmente... "Infrangete con violenza la boria razziale delle donne tedesche. Prendetele come legittime prede." non lo posso tollerare nemmeno per, presunta, vendetta.

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