26 aprile 2018

25 Aprile maiale per maiale meglio grigliare!

Un adagio popolare recita "chi semina vento, raccoglie tempesta!".
Dal momento in cui una certa, faziosa e ben tutelata, area politica usa, come linguaggio politico, la violenza, non ci si può aspettare altro se non che il dibattito venga fatto armi alla mano.
Ieri sono andate in scena le "solite" (o quasi) scenette delle finte verità, delle parole mendaci e del terrorismo di banditi riabilitati dalla costituzione. Ovvero le celebrazioni della favoletta della "Festa della Liberazione" del 25 aprile.
Favoletta perché i partigiani non hanno liberato un bel niente. Prendendo spunto dalle memorie del Feldmaresciallo Kesselring: "se fosse stato solo per i partigiani i tedeschi oggi sarebbero ancora in Italia" e poco ci vuole a farsi due conti e a dargli ragione. Persino la soverchiante superiorità di mezzi e uomini degli alleati, sbarcati in Sicilia grazie all'intervento della mafia novaiorchese, che permise (in primo luogo di far caricare le navi nel porto della città americana) di accordarsi con i capi famiglia dell'isola per consentire agli americani di sbarcare. Nonostante l'appoggio della mafia locale, e la superiorità di mezzi e uomini, l'avanzata Alleata in Italia fu tutt'altro che facile. Non solo i tedeschi opposero una "Resistenza" doverosa alla propria Nazione, ma anche i combattenti della tanto annualmente ridicolizzata RSI che decisero di non abbandonare la lotta, a seguito del tradimento di Badoglio che per la seconda volta consecutiva (la prima fu nella prima guerra mondiale quando gli venne affidata la logistica dei rifornimenti al fronte*) dimostrava non solo di essere un comandante incapace in qualsiasi ruolo gli fosse affidato ma soprattutto di tramare contro l'Italia per un non ben definito scopo personale che, forse inesistente, ma sostanzialmente dettato meramente dalla sua totale incapacità intellettiva.
Il significato del 25 aprile, da qualsiasi punto lo si voglia vedere, riguarda solo ed esclusivamente una determinata area politica e non l'integrità della popolazione. Dal punto di vista istituzionale celebrare il 25 aprile significa celebrare uno sciopero (verificatosi in effetti a partire dal 24), strano che oggi lo stesso Stato non celebri con altrettanto fanatismo ogni sciopero organizzato dai sindacati. Le truppe tedesche e quelle "fasciste" iniziarono ad abbandonare la città di Milano e Torino a partire dalla sera del 25 (propria sponte, quindi ancora una volta i partigiani sono da considerarsi inutili al fine della liberazione). Gli alleati arrivarono nel capoluogo lombardo solo il 1° maggio, quindi lasciando la città in mano al brigantaggio e al randagismo dei partigiani, che in quei sei giorni si resero autori di ogni sorta di efferatezza che vanno dai sommari processi ai fascisti (veri, presunti o sospetti tali), allo stupro e uccisione di quelle donne considerate collaborazioniste del regime (vere, presunte o sospette tali), per finire con il vile gesto di Piazzale Loreto (altra dimostrazione della logica politica dei comunisti) del 29 aprile.
La prima volta che viene pronunciata la data del 25 aprile come data della liberazione fu "il 22 aprile del 1946, quando il governo italiano provvisorio – il primo guidato da Alcide De Gasperi e l’ultimo del Regno d’Italia – stabilì con un decreto che il 25 aprile dovesse essere “festa nazionale”", da un governo provvisorio formato in gran parte dalla DC, che i comunisti  a venire combatteranno fino alla morte.
Oggi (o meglio ieri) sono passati 73 anni dalla data fatidica... anche se in verità sono passa 72 dalla prima celebrazione... le formazioni "antagoniste", che se non avessero il 25 aprile e la lotta antifascista cadrebbero nell'oblio di una storia che non gli appartiene, mettono in scena un teatrino ignobile e guai (ai vinti) se un sindaco osa negare lo spazio per l'autocelebrazione (e auto proclamazione a eroi) di un gruppo di delinquenti e dei loro discendenti. Così, giusto per rievocare le pratiche della non violenza, della distensione politica, dello smorzare i toni e dei metodi di reclutamento dell'Isis... ecco che in piazza Battisti a Macerata va in scena la "pignatta" dove l'oggetto da colpire, per ottenere le caramelle, è rappresentato dal fantoccio di cartapesta del Duce e di un neofascista a caso (vestito con una maglietta nera con croce celtica sul petto). Tutto questo organizzato da "Collettivo Antifà" e "Palestra Popolare" con il patrocinio del comune rappresentato dalla presenza del vicesindaco Stefania Monteverde che commenta così: "«un pezzo dell’Italia democratica, antifascista, antirazzista»".
Forse i figli di Tarantino (ispirati dalle vicende e dalle ideologie di "bastardi senza gloria"), come continuo a sostenere, non avendo alcuna idea politica su cui fondare la propria azione sono costretti a mantenere vivo un nemico defunto da tempo, quando, se davvero fossero dediti a combattere la tirannia, dovrebbero guardare meglio chi rappresenta, al giorno d'oggi, lo stereotipo di fascista che esiste solo nella loro testa.
Infatti nella testa vuota, nonché malata, degli "antifà" alberga ancora la credenza che i "fascisti" siano, storicamente, dalla parte dei padroni... anzi siano i padroni. Così non importa se Mussolini impediva gli scioperi, ma allo stesso tempo impediva alle fabbriche di fare le serrate. Poco importa se anche negli anni successivi alla guerra i "fascisti" arrivavano dalle classi del proletariato, quando non addirittura del sottoproletariato. I fascisti continuano ad essere, in queste menti "eccelse", identificati con la borghesia a cui, spesso e volentieri, essi stessi appartengono.
Se davvero la loro "ragione" fosse identificabile nella lotta alla borghesia e nella nuova aristocrazia "economica" allora sarebbe, oltre che pregevole, condivisibile, ma non è così. Infatti a loro interessa combattere il fascismo, qualunque cosa significhi nel loro cervello "mononueronale" (ovvero con un solo neurone e per giunta bruciato dall'assiduo uso di droghe), ma di fatto, come i cani addestrati al combattimento da un padrone senza scrupolo, rispondono agli stimoli esterni senza la minima applicazione di coscienza. Ovvero riconoscono i simboli, le parole, i nomi del "neofascismo", ma non sanno minimamente fare distinzione tra quella che è una dittatura, in cui nonostante la volontà espressa dal popolo il governo ed i suoi pupazzi fanno i propri comodi pur di continuare a mangiare, ed il tentativo d'educazione di un popolo a valori che, se non si fosse chiamato "fascismo" bensì "socialismo" ancora oggi sarebbe osannato (di cui ogni 25 aprile ne celebrano la morte, ma non comprendono).
Quindi perché il 25 aprile la maggior parte degli italiani preferisce grigliare anziché stare in piazza a sentire un sermone antifascista?
Per due ragioni.
La prima è perché avendo mentito per oltre 70 anni sul fascismo la popolazione, oggi, non lo riconoscerebbe nemmeno se se lo trovasse di fronte.
Il secondo motivo è perché (ma questa è più una mia speranza), ammettendo che il popolo avverta una effettiva diminuzione della propria libertà personale... vede altrettanto che a privarlo di tale libertà non è un partito/governo morto 70 anni fa, bensì una parte politica che si riempie la bocca di parole come libertà e democrazia salvo calpestare entrambe quando la "libera" scelta del popolo non va nella direzione che chi detiene il potere spera.
Quindi meglio grigliare del maiale piuttosto che ascoltare ulteriormente il maiale che, come ne "La fattoria degli animali" di Orwell, si ingrassa con il sudore della fronte della classe lavoratrice e stringe accordi con il nemico della medesima classe pur di mantenere il suo status sociale. 
Insomma per Orwell i maiali organizzavano la rivoluzione per liberare il popolo dalla disumana presenza dell'uomo che sfruttava e maltrattava gli animale dell'aia, salvo poi accordarsi con altri umani pur di mantenere i vizi che, dopo la rivoluzione, avevano acquisito.
Non a caso oggi i "rivoluzionari" sono i figli della classe dirigente appartenente alla medio-borghesia e continuano a puntare il dito contro i fascisti di 70 anni fa per non affrontare la realtà dei fatti che i "fascisti", nell'accezione tipica della visione dei rivoluzionari sud americani quali Ernesto "Che" Guevara (medico omofobico), Fidel Alejandro Castro Ruz (Fidel Castro primo ministro di Cuba prima che lui stesso abolisse la carica e si auto proclamò presidente di Cuba, carica che mantenne fino alla morte), ecc. in questa visione il fascista è filo-americano, vende le risorse economiche del paese alle potenze economiche occidentali (tradotto gli Stati Uniti) e via cantando... riportando questo all'Italia... chi sono i "fascisti" in tal senso? I ragazzi di Casapound che vorrebbero impedire all'U(B)E di mettere le proprie grinfie sulle ricchezze della Nazione, che vorrebbero uscire dal patto Atlantico (NATO) ed impedire agli USA di trascinarci in ogni guerra "del petrolio" che provocano? O, per la stessa definizione, i fascisti sono i burattini che al momento coccolano gli "antagonisti" con le parole che costoro vogliono sentire (perché totalmente incapaci di giudicare i fatti)? Non ne posso avere la certezza non conoscendo la testa ed il cuore del "Che", ma sono abbastanza convinto che se fosse ancora vivo (intanto non sarebbe minimamente riconosciuto dai sedicenti resistenti) prenderebbe personalmente a schiaffi questi antagonisti dicendo loro: "non vi accorgete che state facendo il gioco del nemico che vi muove come marionette?".... ma questa è un'altra storia.

*L'errore tattico più sconcertante e oggettivamente misterioso fu senza dubbio operato da Badoglio sul suo fianco sinistro (riva destra dell'Isonzo tra la testa di ponte austriaca davanti a Tolmino e Caporetto). Questa linea, lunga pochi chilometri, costituiva il confine tra la zona di competenza del Corpo d'armata di Badoglio (riva destra) e la zona assegnata al Corpo d'armata di Cavaciocchi (riva sinistra). Nonostante tutte le informazioni indicassero proprio in questa linea la direttrice dell'attacco nemico, la riva destra fu lasciata praticamente sguarnita con il solo presidio di piccoli reparti, mentre il grosso della 19ª divisione e della brigata Napoli era arroccato sui monti sovrastanti.

Di conseguenza, con Regio Decreto del 9 novembre 1917, il generale Armando Diaz, fino a quel momento comandante del XXIII Corpo d'armata (non investito direttamente nella disfatta), fu nominato Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano. Al generale Armando Diaz, tuttavia, furono affiancati, con il grado di sotto-capo di Stato Maggiore (vice-comandante), i generali Gaetano Giardino e Pietro Badoglio. Successivamente, il 7 febbraio 1918, Badoglio, rimase vice-comandante unico.

In tale situazione, solo in data 12 gennaio 1918, con Regio Decreto n. 35, fu istituita la Commissione d'inchiesta su Caporetto, che concluse i lavori, a guerra finita – e ormai vittoriosa – il 13 agosto 1919, quando Pietro Badoglio stava per succedere a Diaz, in qualità di capo di stato maggiore dell'Esercito italiano. Ciò spiega perché la Commissione confermò l'attribuzione della colpa della disfatta a Luigi Cadorna, estendendola a Luigi Capello, Alberto Cavaciocchi e Luigi Bongiovanni, sia pur ammettendo un concorso di circostanze sfavorevoli, ma non citò neanche il generale Badoglio; sembra, anzi, che tredici pagine riguardanti l'operato di Badoglio siano state sottratte dalla relazione, al momento della sua presentazione in Parlamento.

Si dice anche che Badoglio faceva in modo (in una situazione di penuria di risorse) di sprecare l'utilizzo di camion facendo spesso eseguire agli autisti degli automezzi viaggi a vuoto (separando i mezzi "ospedale" ed i mezzi di rifornimento che di fatto erano sempre le stesse camionette) invece di ottimizzarne l'impiego trasportando le munizioni al fronte e usare gli stessi camion per l'evacuazione dei feriti.

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