28 febbraio 2019

Partito Conservatore

Qualche tempo fa mi chiesero di assistere ad una conferenza sul tema "Perché l'Italia non ha mai avuto un partito conservatore?", naturalmente, mentre io cerco a casa l'articolo che avevo scritto al riguardo, va detto che il punto di vista dei relatori (molto di sinistra) che escludevano a priori il Partito Nazionale Fascista che, durante il ventennio, assunse diversi ruoli pubblici e politici tra cui quello rivoluzionario e conservatore.
Si possono distinguere con certezza 3 fasi principali la prima "Rivoluzionaria" nel momento tra la fondazione dei "Fasci da Combattimento" e la "Marcia su Roma"; la seconda la fase "Conservatrice" dalla formazione del governo alla Repubblica Sociale; infine la fase "(Nazional)Socialista" della RSI.
Partendo dal presupposto che non si tratta di una critica al fascismo bensì una narrazione dei fatti ed una "etichettatura" generica (nonostante l'unicità del fenomeno) la fase più complessa è sicuramente quella rivoluzionaria in quanto all'interno del neonato (o meglio nascituro fascismo) si agitavano ancora diverse anime socialiste ereditate dai movimenti interventisti-massimalisti, ma anche quella componente Futurista non ancora completamente inglobata, ma anche una parte di popolazione (tra cui i monarchici) che temevano una rivoluzione come quella Bolscevica. In questo frangente è facile trovare situazioni contraddittorie quali, ad esempio, gli interventi degli Squadristi per scongiurare uno sciopero comunista (sventolato come una bandiera dagli antifascisti), ma anche il medesimo intervento a scongiurare le serrate padronali, storicamente mai avvenute, anche se il dizionario ne da definizione e la nascita etimologica dal 1905 ("Sospensione delle attività in un'azienda, attuata dal proprietario a scopo di pressione, di rivalsa o di protesta"), ma che gli storici (evidentemente antifascisti) tendono a dimenticare. Sostanzialmente il PNF si proponeva di essere, anche con interventi decisi ma non letali, come un pacere sociale. Certo i medesimi storici sono sempre pronti a condannare fermamente il violento intervento a manganellate delle squadracce Fasciste, mentre quasi sorvolano archiviandolo come "specchio dei tempi" la repressione delle proteste popolari a cannonate. Chiaramente come ogni partito, dell'epoca, era alla ricerca di consenso popolare quindi l'essere trasversale alle varie ideologie era necessario per far sì che la maggior parte della popolazione si sentisse rappresentata dalla ventata d'aria fresca che il fascismo si proponeva di essere. Ma come sempre la storia la scrivono i vincitori (anche quelli virtuali) per cui si fa sempre cenno al fatto che i Fasci intervenivano col manganello, ma mai che i "comunisti" aggredivano con martelli, roncole, forconi e ogni altra arma potesse essere raccolta o prodotta nei campi e nelle officine (come recita la nota canzone popolare).
Il periodo "Conservatore" è caratterizzato dall'aver operato, di fatto, la rivoluzionaria "Marcia su Roma" pur mantenendo la struttura Governativa, in quanto la marcia ha indicato la volontà di una porzione di popolo pronto ad imbracciare le armi pur di far valere il propri diritti. In quel periodo il disappunto del popolo verteva sulla sensazione di "Vittoria Mutilata" in quanto, nonostante svolgemmo un ruolo fondamentale sul Fronte Meridionale della prima guerra mondiale, fummo trattati da subalterni dai nostri alleati che si concessero territori (persino i polacchi che non esistevano più da qualche centinaio d'anni), mentre a noi ci furono concesse solo le terre irredente e non quelle conquistate o pretese. Alla pressione esercitata dalle 25.000 camicie nere rispose Re Vittorio Emanuele III incaricando Mussolini di fornire un nuovo governo. 
Di fatto la rivoluzione non sovvertì l'ordine dello Stato, come invece avvenne in Russia, mentre, per assurdo, fu più rivoluzionario il referendum del '46 con cui si decise la fine del Regno d'Italia a favore della repubblica.
Quindi in questo frangente il Fascismo fu sia rivoluzionario, per il gesto eclatante di riuscire a portare un "esercito" alle porte di Roma ed allo stesso tempo conservatore in quanto non rovesciò l'ordine costituito dello Stato.
Non si tratta di un articolo sulla guerra né un'analisi critica o acritica a meriti e colpe del Duce e dei gerarchi, quindi salterò tutta la parte relativa alle battaglie del grano, all'INPS (a cui ho già accennato in passato), alle bonifiche dell'Agro pontino,  delle leggi razziali, ecc. così come non parlerò dell'alleanza con Hitler, della guerra, del colonialismo, ecc.
Di conseguenza possiamo tranquillamente saltare al periodo dell'RSI in cui Mussolini, liberatosi dalle briglie della monarchia, poté attuare quelle politiche sociali che sognava di realizzare da Socialista certo la situazione, in guerra, non era delle migliori di conseguenza non molti hanno voglia di ricordarsi della "Socializzazione delle Imprese" (se derubandone la memoria) o le manovre economiche per riprendere il controllo della sovranità monetaria per sostituire la moneta d'occupazione messa in circolazione dai tedeschi o ancora per ripagare i debiti di guerra contratti con la Germania.
"Nella RSI si sarebbe dovuta attuare, secondo le intenzioni di Benito Mussolini, la trasformazione della struttura organizzativa economica da un sistema di tipo capitalista, quello trovato nel 1922, ad uno di tipo organico, corporativo e partecipativo. Nel Manifesto di Verona (il cui testo fu elaborato da Angelo Tarchi, Alessandro Pavolini, Nicola Bombacci, Manlio Sargenti, sotto la supervisione di Benito Mussolini) erano presenti alcuni richiami alla socializzazione delle imprese, che prevedeva la partecipazione dei lavoratori alle decisioni ed agli utili d'azienda, la nazionalizzazione e la gestione statale delle aziende strategiche per la nazione (tra cui la Fiat), il diritto al lavoro ed il diritto alla proprietà della casa." da quanto si evince dai proclami della Repubblica Sociale stessa "«I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari, le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio.»

(Enzo Pezzato in La Repubblica fascista, 22 aprile 1945)"
Qualcuno, in più di un occasione, ha provato a far passare l'idea che la rivoluzione ha bisogno della borghesia, ma chi lo sostiene quasi sempre proviene da una famiglia borghese o medio-borghese (ovvero i grandi imprenditori e i "vorrei ma non posso"), ma per citare le parole di Hitler, alla borghesia interessa mantenere il proprio status sociale, se pronuncia parole di rivolta lo fa per noia o per suscitare le simpatie del popolo, ma sempre allo scopo di mantenere i propri agi e i propri privilegi o, se possibile, migliorarli. 
Nella (Nazional)Socialista, quindi, del fascismo forse si può ritrovare lo spirito rivoluzionario che mosse le intenzioni del Duce e che, egli stesso, sperava di attuare con la presa del potere. Potere però che non prese mai davvero.

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