29 ottobre 2019

Marciare per non marcire.

Nella data di ieri (28/10/2019) nostalgici, simpatizzanti e (per lo Stato) indegni patrioti si sono scambiati virili messaggi di auguri per celebrare, come ogni anno da 97 anni a sta parte, la celebre "Marcia su Roma" che la milizia del Duce operò il 28 ottobre 1922.
Chiaramente una "passeggiata" di simili dimensioni non può essere portata a termine in un giorno e, secondo il sito che si consulta, la sua realizzazione va dal 26 (o 27) ottobre a 30 (quando Mussolini viene incaricato dal re di formare il nuovo governo).
Gli storici, di sinistra, sono inclini (con l'ormai noto auto-masochismo) a definire la principale (intesa come embrionale) azione della rivoluzione Fascista, come una passeggiata domenicale "Secondo le interpretazioni di matrice antifascista più in voga, in effetti, la marcia su Roma non sarebbe stata altro che «una goffa kermesse» (A. Repaci) o «poco più che una trascurabile adunata di utili idioti» (D. Sassoon).". Questa chiave di lettura fornita degli storici non trova minimamente riscontro nella realtà dei fatti se non nelle spavalde parole del Generale Emanuele Pugliese, comandante della guarnigione preposta alla difesa di Roma, che rispose alle accuse dicendo "«sarebbero bastati pochi colpi di cannone a salve, per disperdere e disarmare quelle torme»" (secondo la mia scomoda interpretazione, e in relazione all'aggiunta de Il Primato Nazionale, con torme il Generale intende "Branco di animali: una t. di cavalli selvaggi; folla di persone che procede senza alcun ordine") peccato che il Branco di animali fosse costituito da 30.000 soldati che tenevano Roma sotto assedio e altri 300.000 camicie nere che avevano già preso possesso dei principali centri nevralgici del paese. "Le «torme» di cui parla con disprezzo Pugliese sarebbero le colonne di squadristi accampate ai confini di Roma, formate da circa 30mila armati. Nel resto del centro-nord i fascisti, che avevano mobilitato 300mila camicie nere, avevano già occupato quasi tutti i centri nevralgici delle principali città, spesso aiutati dai militari, entrando in possesso di fucili, mitragliatrici e, addirittura, pezzi d’artiglieria." Inoltre va ricordato che le squadracce (come vengono denigratoriamente definite le Camicie Nere) in realtà "Sebbene la loro organizzazione non fosse irreprensibile (come valutava il quadrumviro De Bono), si deve pur sempre calcolare che le squadre erano per la maggior parte formate da ex combattenti e decorati al valore." sostanzialmente se si fosse arrivati allo scontro armato l'esito era tutt'altro che scontato. Insomma non si sarebbe trattato di sparare delle salve di cannone su una folla di contadini che protestavano per il pane, bensì di affrontare truppe irregolari di indiscusso e indubbio valore e adeguatamente armate.
Ma la sinistra (anche quella degli storici) non perde il vizietto di denigrare l'avversario politico, anche quando realizza quello che loro si possono solo sognare, in tal modo, essendo la Marcia su Roma culminata con una trattativa politica tra Mussolini, Vittorio Emanuele III e Luigi Facta (capo del Governo), diventa una "marcetta" o "un colpo di teatro", ma come scrisse Emilio Gentile "«Il sarcasmo storiografico lascia senza risposta, ripetendo così l’errore di incomprensione commesso a suo tempo dalla maggior parte degli antifascisti, che non presero sul serio il fascismo e la “marcia su Roma”. Poi, sconfitti e messi al bando dal fascismo, si consolarono ridicolizzando la “marcia su Roma” come una messa in scena, e proiettarono questa immagine su tutta la successiva esperienza del regime totalitario: e non capivano che, in tal modo, essi ridicolizzavano se stessi, perché si erano lasciati travolgere dai commedianti di un’opera buffa, i quali rimasero al potere per un ventennio, e furono detronizzati soltanto dopo essere stati sopraffatti e disfatti dagli eserciti stranieri in una seconda guerra mondiale»." di fatto prima di suddetta Marcia nei campi, nelle officine e nelle piazze dei paesi si consumavano, quasi quotidianamente, scontri tra Fascisti, socialisti e comunisti, che il Prefetto di Ferro, Cesare Mori, era solito fronteggiare facendo arrestare tutti (a differenza di oggi che si tenderebbe ad arrestare i "fascisti", se coinvolti negli scontri, e lasciar andare gli altri perché figli di... o imparentati con...). La Marcia di Roma non fu una rivoluzione come quella francese o americana, ma solo perché, interrogando lo Stato Maggiore del proprio esercito, il Re sì sentì rispondere "che l’esercito era «troppo simpatizzante col fascismo da poterlo arrischiare in un conflitto» e che la guarnigione di Pugliese «disponeva di 5-6.000 uomini in tutto. Si trattava di reparti raccogliticci e non sicuri al cento per cento». Al re, in sostanza, fu detto: «L’esercito farà il suo dovere, però sarebbe bene non metterlo alla prova»." Sebbene l'esercito fosse meglio addestrato delle squadracce fasciste, ma 6.000 uomini addestrati contro 30.000 ben armati e decorati al valore difficilmente ne sarebbero usciti vittoriosi, senza considerare i 300.000 a disposizione del Duce.
"Ma al di là della querelle storiografica, è stato forse Richard Child, l’allora ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, a cogliere l’essenziale dell’evento: «Qui stiamo assistendo a una bella rivoluzione di giovani […] ricca di colore e di entusiasmo». Gioventù, colore, entusiasmo: questo rappresentò la marcia su Roma per occhi non accecati dall’antifascismo."

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