9 maggio 2017

Reprimere! Un atto dovuto... forzato!

Gli psicologi, quei seguaci di un giudeo cocainomane, pervertito e spacciatore di droga, sono più o meno tutti concordi nell'affermare che reprimere i propri sentimenti, ed in particolare la rabbia, sia nocivo per la salute. Ad essi si contrappongono i sociologi, servi della catena alimentare che passando attraverso politicanti e i banchieri arriva alle lobby e ai pezzi di merda che vi stanno dietro (o sopra), i quali, pur riconoscendo la necessità umana di sfogare la rabbia, moralizzano ogni atteggiamento aggressivo e condannano, indistintamente, tutte quelle situazioni in cui l'uomo può (o deve) dare libero sfogo ai propri impulsi. Chiaramente in una società cosiddetta "civile" uno non può andare in giro per strada a menare la gente o stuprare uomini, donne o bambini, secondo i propri gusti e perversioni sessuali, ma d'altro canto allo stesso individuo dicono di non tenersi tutto dentro. Qual è allora la risposta della società?
Come in molti altri casi palliativi e vigliaccherie. In questo sistema ipocrita del "vogliamoci bene!", pessimo riadattamento (liberal-progressista) dell'insegnamento cristiano "porgi l'altra guancia". Infatti gli stessi dimenticano, o minimizzano, la reazione che lo stesso Gesù ebbe nei confronti dei mercanti al tempio (Citando una battuta che gira su internet "quando ti arrabbi e qualcuno ti dice 'pensa a cosa farebbe Gesù', ricordati che rovesciare tavoli e frustare la gente è contemplato!").
Gli stessi sociologi che si scannano, a volte "solo" verbalmente altre volte fisicamente, quando non hanno argomenti validi da contrapporre, o quando non hanno la forza di affermare il punto, su tematiche importanti e non, che implicano una scelta morale... morale che ovviamente non hanno. Però si prendono la libertà e spesso il gusto di criticare e condannare quelle situazioni che per loro sono futili o insulse solo perché non comprese nel loro "personale" elenco delle cose importanti.
Sicuramente è giusto che ci sia un limite, ad esempio, tra passione sportiva e "tifo sfegatato", ma gli stessi che al lunedì mattina si fanno venire il sangue amaro per un torto calcistico, sono gli stessi che condannano i tifosi che hanno dato vita ad uno scontro la domenica pomeriggio. Se ascoltassimo solo la "verità" mediatica gli ultras sono solo una manica di criminali che usano la partita come scusa per perpetrare violenza, spesso descritti come dei vili che, in branco, aggrediscono donne e bambini. Chiaramente, come in tutte le cose, non si può fare di tutta un erba un fascio. Quindi come non si possono condannare tutti i tifosi, così non si possono assolvere tutti. Ma lo scopo di questi pensieri non è dare colpe o assoluzioni.
Vorrei semplicemente far capire che il mondo, la vita o, come spesso si sente dire, la mentalità degli ultras risponde ad alcuni aspetti sociali e psicologici dell'esistenza umana, non è solo "un'accozzaglia di ignoranti" che prendono di mira i pellet della squadra avversaria per razzismo (anche perché sono gli stessi che inneggiano ai pellet della propria squadra). Innanzi tutto vivendo a così stretto contatto domenica dopo domenica si crea un legame. Vivere esperienze e sensazioni comuni crea dei legami di amicizia molto profondi che durano negli anni, purché determinati presupposti siano rispettati. Sostanzialmente se uno ti starebbe sul cazzo fuori dalla "curva" ti starà sul cazzo anche in curva. Poi risponde all'esigenza di aggregazione. L'uomo, esattamente come il lupo, è un animale solitario, ma allo stesso tempo, anche in questo caso come il lupo, riconosce la forza nel gruppo. Spesso viene usato il termine negativo "branco" per definire delle "bestie" che aggrediscono una preda isolata, ma lo stesso senso dispregiativo viene applicato anche ai gruppi ultras volendo far passare il concetto che, smentendo quanto dai sociologi stessi affermato in precedenza, se il gruppo non si muovesse in branco non si verificherebbero gli episodi di violenza. A prescindere dal fatto che solitamente i gruppi si scontrano con i gruppi. Anche in questo caso in qualsiasi altro ambito l'appartenenza ad un gruppo è incoraggiata, supportata e agevolata. Basti pensare agli ambiti lavorativi fortemente competitivi, se non esistessero momenti di comunione, se non ci fossero ambienti adeguati per la comunicazione interpersonale si vivrebbe isolati per più di un terzo della propria giornata (salvo quei casi in cui l'isolamento proseguirebbe anche a casa). Inoltre risponde, inutile negarlo e ipocrita chi lo fa, alla necessità dell'uomo di combattere, di soddisfare il sangue guerriero donatoci dal Dio Marte.
Per comprendere quest'ultimo aspetto, basti pensare a quanti sono pronti ad "attaccare rissa", anche solo verbale, con il tizio della macchina affianco che ha la stessa voglia di arrivare a destinazione e togliersi dallo stress del traffico cittadino, ma commette l'imperdonabile errore di saltare la fila ed "infilarsi". Ciò potrebbe essere giustificato, o meglio etichettato, con la rabbia repressa, ma se la rabbia repressa fa così tanti danni... non è forse meglio sfogarla in qualche modo? Come dicevo la società propone palliativi, ovvero se si è incazzati come vipere, non bisogna tenersi tutto dentro, ma ci si può sfogare in palestra. Certo questo scaricherebbe le energie che una vita sedentaria accumula, ma non scarica la tensione e non soddisfa la bramosia di "guerra". Allora pensano alle arti marziali pensando che menare cazzotti ad un sacco possa aiutare, e in parte lo fa, ma in alcuni casi non si arriva al combattimento vero e proprio (almeno non prima di aver imparato la disciplina necessaria per non esagerare in un incontro). Quindi reprimono la frustrazione, lo stress e tutta questa tensione accunolata in ambito lavorativo, sportivo, sociale, familiare fino al momento topico in cui lo scellerato gli taglierà la strada al semaforo.
Prima abbiamo accennato anche al fatto che l'uomo è un animale solitario e comunitario allo stesso tempo intendendo che, con alcune eccezioni che variano da soggetto a soggetto, è in grado di stare da solo e di vivere in gruppo, ma è anche (piaccia o no ai moralizzatori delle macchinette) un animale territoriale. Difficilmente sopporta che vengano invasi i suoi spazi, indipendentemente da ciò che egli percepisce come proprio spazio, sia esso una nazione, un continente, un quartiere, un alloggio, una scrivania, uno stabile occupato illegalmente e abusivamente, un computer, uno stereo, una famiglia, un gruppo di amici, ecc. Insomma a qualsiasi livello l'uomo ha degli spazi che considera propri e difenderà anche a costo della vita, ma ormai viene passata l'idea che è criminale difendere determinati ambiti, ma dovremmo pensare a quale sia la cosa che teniamo di più a questo mondo e pensare se saremmo disposti a farcela portare via.

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